Sabato mattina, mi alzo dal letto dopo averci poltrito il necessario e prendo il cellulare. Apro le news di Google e la prima notizia riporta: Parigi sotto attacco: 129 morti, italiana irrintracciabile. Stato Islamico rivendica e minaccia. Una donna nel commando. Non faccio a tempo a leggere l’articolo che il cellulare emette l’avviso di una nuova ricezione da WhatsApp. Clicco sull’icona di notifica: è la mia amica Luisa che manda un messaggio con una bandierina della Francia seguita da sentite parole di cordoglio per le vittime.
Alt, mi dico, fossi stato io non avrei tanto usato la bandiera della Francia o di un qualsivoglia stato islamico bensì la bandiera dell’umanità, del mondo intero, sempre che questa fosse esistita. E perchè non ne esiste una? La mia mente si sofferma su quanto sia triste non averne veramente una, di quanto sia triste crescere con la nozione di confini, di limiti, di bandiere, di paese più progredito, di paese più povero, di passaporto, visto e ufficio immigrazione.
Non è fermando un terrorista o distruggendo un gorverno o facendo la guerra a quello o a questo che si allontana la paura di essere una di quelle 129 persone. Perchè è così: la solidarietà in questo caso è figlia della paura. Attaccano al cuore d’Europa mentre si va a teatro, ma anch’io abito in Europa e anch’io vado a teatro e quindi sono triste per te, mi va di accendere un cero per te, mi indegno per te. In te mi è facile vedere me.. E perchè la mia coscienza non mi porta ad accendere un cero ogni sacrosanto giorno, in cui i confini, i limiti e le bandiere fanno di 10 persone, 10 persone senza pari opportunità, 10 essere umani che giocano campionati diversi, chi di serie A, chi di serie B o C. Ogni giorno io accendo un cero, ogni giorno accendo un cero affinchè il mio cuore si faccia un poco più grande così da avvicinarsi al cuore di Mohammed, di Louis, di Amadou, di Toshiro, di Shilpa, di Kim…e anche al tuo. Fino a quando non sventolerà la bandiera dal mondo.